Nella mia educazione ha contato molto la curiosit à per la Cina,che veniva sia dalla storia di famiglia sia,evidentemente,dai cromosomi.C'è un fatto curioso:sia nella mia famiglia che nella famiglia di Luigi Ricci non si bevono bevande fredde.Da che si ricordi,i Sabbatini e i Ricci hanno sempre bevuto acqua calda,invece di fredda come tutti gli altri italiani:senza aggiunta di thè,zucchero o altro.Credo che tuttora siano le uniche famiglie italiane a fare ciò.Poi,venendo in Cina la prima volta come Funzionario delle Nazioni Unite nel 1985,mi resi conto che questa era un'abitudine tipicamente cinese.La consideravo normale perché era sempre stata in famiglia,però mi rendevo conto che si trattava di un'originalità in Italia.Parlandone più tardi con Luigi Ricci convenimmo che questa fosse la prova irrefutabile della nostra tradizionale appartenenza alla cultura cinese,derivataci dagli usi di famiglia.
Quando ero ragazzo,mio padre e mio nonno m'indicavano spesso,giù nell'officina,il ritratto di un personaggio dall'aria aristocratica e al tempo stesso di carattere molto forte che troneggiava sopra il bancone degli attrezzi.Si trattava di di Zhou Enlai,idolatrato sia da mio nonno che da mio padre.Mio padre- che conserva il ritratto- mi diceva che Zhou era un esempio di diplomatico a cui tutti avrebbero dovuto ispirarsi.Più tardi,studiando storia diplomatica all'Università,mi resi conto che quelle parole erano vere:Zhou aveva saputo contemperare lo zelo rivoluzionario con una grande pratica e un uso di mondo che lo facevano sentire a suo agio in tutte le assise internazionali della diplomazia malgrado l'isolamento della Cina in quel periodo.
Nel 1954 mio padre sposò mia madre Iolanda Stefoni(fig.4),che viene da un'altra storica famiglia marchigiana(gli Stefoni furono Gonfalonieri di Santa Romana Chiesa).Nonno Umberto(il padre),era un facoltoso mercante di stoffe preziose che venivano dall'Oriente(ancora la Cina).
Mia madre mi ha trasmesso l'amore per lo studio e la passione umanistica,laddove dai Sabbatini mi è derivata la precisione,la tendenza all'analisi e la meticolosità.Devo ringraziare i miei genitori se,per predisposizione,mi sono trovato ad avere la stessa“curiosità”che aveva spinto Matteo Ricci e Sabbatino de Ursis a viaggiare in Cina,e Xu Guangqi ad incontrarli.
Ho fatto i miei studi inferiori a porto Sant'Elpidio e spesso mi trovavo in una situazione curiosa.Pur appartenendo ad una delle famiglie in vista del paese,noi non eravamo certamente i più facoltosi.Dal'60 ai giorni nostri gli industriali della calzatura hanno avuto successo,prestigio,e hanno costruito cospicue fortune.Alcuni dei calzaturieri di Porto Sant'Elpidio già da anni hanno stabilito relazioni commerciali con la Cina.In paese oggi esiste una comunità di cinesi che,trapiantati dallo Zhejiang,sono venuti a lavorare i pellami e costituiscono una forza lavorativa e imprenditoriale importante.
Nel 1968 tutta la famiglia si trasferì a Fermo,per permettermi di frequentare il Liceo Classico“Annibal Caro”e perfezionarmi negli studi umanistici.A quel periodo risale la mia amicizia con Monsignor Ludovico Cassiani,un anziano professore di latino e greco del Seminario di Fermo,da cui in un primo tempo andavo a prendere lezioni di latino:mia madre voleva che il mio latino fosse perfetto.
Il Professor Cassiani,a cui ero molto legato,ebbe una disgrazia:in seguito ad un'operazione sbagliata perse la vista.Da allora io divenni il suo accompagnatore,ricreando,in qualche maniera,il rapporto che c'era stato tra Sabbatino de Ursis e Matteo Ricci.Passavo la maggior parte dei miei pomeriggi a casa sua,sbalordito e ammirato dalla sua grande biblioteca e dai suoi ricordi di viaggio.Era stato un esploratore,che nella sua lunga vita aveva viaggiato in quasi tutti i paesi del mondo.Ancora oggi la mia biblioteca include molti libri generosamente legatimi da Monsignor Cassiani.
Dopo aver preso la Maturità Classica,vinsi un concorso per una borsa di studio a Roma,dove mi trasferii nel 1974 e dove conseguii la laurea in Scienze Politiche.Dopo l'Università diventai Assistente Universitario del Professor Augusto del Noce,un insigne filosofo della cosiddetta“cultura tradizionale”italiana.Nel 1981 vinsi il concorso per le Nazioni Unite e divenni funzionario dell' ONU.Fui assegnato all'ufficio UNDP a Rabat,in Marocco,dove incontrai Maria Assunta Accili,giovane diplomatica di prima nomina presso l'Ambasciata d'Italia.Detto e fatto:dopo sei mesi di fidanzamento decidemmo di sposarci.
Ricordo che quando convenimmo di telefonare ai nostri rispettivi genitori in Italia immaginammo la loro assoluta sorpresa e felicit à:eravamo entrambi non giovanissimi(29 anni)e si trattava quindi di una decisione ben ponderata,anche se rapida.Ci sposammo nel 1984 all'Aquila,luogo di nascita di mia moglie e quasi immediatamente io fui trasferito per un breve periodo a Nuova Delhi,mentre mia moglie rimase in Marocco.
Il Signore ci benedisse con l'immediata gravidanza di mia moglie.Dopo tre mesi a Nuova Delhi io fui trasferito a Pechino,dove arrivai il 15 marzo 1985.
Mio figlio nacque nel Settembre dello stesso anno e ricevette il nome storico del suo bisnonno(fig.5).
Il mio incontro con la Cina
Paolo Sabbatini
Il mio primo incontro“fisico”con la Cina fu quindi nella Primavera del 1985.Una terra favolosa,sognata quand'ero piccolo nei racconti e negli aneddoti di mio padre e di mio nonno.Quando l'aereo Alitalia atterrò all'aeroporto di Pechino in un mattino freddo,soleggiato e un po'fuligginoso,mi sembrò che il sangue mi scorresse in fretta dalle vene fino alla testa e provai una sorta di capogiro quasi sensuale.Certo,mia madre avrebbe detto:“attenzione,il tuo sangue non è sangue comune”.In effetti,mi sembrava che un sangue vecchio come quello della mia famiglia esplodesse in un accesso di gioia,quasi come un fuoco d'artificio cinese.
Ricordo bene la Jeep delle Nazioni Unite che mi era venuta a prendere all'aeroporto.
Dall'aeroporto di Pechino alla citt à si passava per una strada asfaltata lunga e dritta che sembrava però una strada di campagna.Al di qua e al di là dell'arteria principale correvano due strade sterrate di servizio,dove passavano carri di legno trainati da cavalli e trattori agricoli.Questo contrasto è ancora presente nella mia mente in modo indimenticabile.Il primo pensiero fu di constatare quanta polvere ci fosse nell'aria,però i raggi del sole mi suggerivano che questo mio incontro con la terra cinese sarebbe stato fortunato.
Per un paio di giorni alloggiai in un piccolo albergo di periferia.Il Capo dell'Amministrazione delle Nazioni Unite mi disse che quest'arrangiamento era parte dell'alchimia burocratica per ottenere un miglior sistema di compensazione finanziaria durante l'installazione(tuttora questo meccanismo rimane inspiegabile nella mia mente).Dopo qualche giorno mi trasferii nell'unico albergo a cinque stelle di Pechino a quell'epoca,il Jian Guo Hotel.Così durante la prima settimana continuarono le esperienze contrastanti.Ricordo la rude ma spontanea considerazione dello staff dell'alberghetto iniziale,e d'altra parte la distante cortesia del personale di servizio dell'albergo di lusso.Non potei fare a meno di ammirare l'avvenenza della gioventù cinese,e di pensare alla vicenda umana dei missionari che sbarcarono in Cina tanti anni fa:quante tentazioni per questi poveri italiani.Una storia mai scritta di pazienza,preghiere e castità in mezzo a un giardino di fiori.
I miei primi mesi nell'ufficio passarono cercando di orientarmi nel lavoro e soprattutto nella diversità e le intricatezze del modo di pensare cinese.Alcuni usi dei funzionari locali e dei colleghi d'ufficio erano inaspettati.Mi sembrava quasi di essere un detective che cercasse la spiegazione di misteri o d'indovinelli.Un ricordo fra tutti:durante l'orario di lavoro,i corridoi dell'ufficio improvvisamente apparivano cosparsi da lunghe scie di acqua,come se qualcuno avesse trascinato dei pesci giganti appena pescati in tutte e due le direzioni del corridoio.I primi giorni avevo timore di indagare,poi presi coraggio e dopo essermi avventurato nelle varie stanze scoprii che prima di lasciare l'ufficio(si chiudeva alle diciassette),il personale cinese andava in bagno e faceva la doccia,in quei freddi pomeriggi d'aprile e senza asciugarsi.Uomini e donne ritornavano poi nei rispettivi uffici coni capelli bagnati che gocciolavano per il pavimento.Le donne assomigliavano quasi a delle divinit à marine:i capelli lunghi e neri,intrisi d'acqua,sembrava appartenessero a delle sirene.
Ogni tanto ricevevo la visita delle controparti cinesi dei progetti di sviluppo di cui mi occupavo.Per la maggior parte dei casi si trattava di uomini di una certa età,persone quadrate,gentili e sagge.Tutti vestivano la casacca di Mao Tse-tung blu o grigia e avevano un berretto di colore corrispondente.Chi sentiva veramente freddo,e se ne poteva permettere il lusso,veniva con cappelli imbottiti di pelliccia,in stile sovietico.
Piano piano imparai a distinguere l'estrazione dei miei invitati al di là della loro uniformità esteriore:tra gli uomini che si erano fatti da sè,spesso veterani di partito,e qualche raro discendente di famiglie con una grande tradizione.
Il Professor Zhang Zhishan apparteneva a questa seconda categoria.Venne nel mio ufficio dopo una serie di caute telefonate alla mia segretaria giovane e inesperta.Si voleva sincerare che io fossi totalmente italiano e che tipo di italiano:gentile,rude,colto o ignorante,elegante o casuale,se il mio linguaggio fosse forbito e la mia attitudine rispettosa.Ironicamente queste pertinenti questioni mi erano regolarmente riferite.Così ebbi la possibilità di fare un'autoanalisi delle mie caratteristiche e cercare di conformarmi a quello che il Professor Zhang credeva potesse essere un italiano perfetto.Finalmente arrivò e si presentò:un gentiluomo sorridente di età matura,con un aspetto paffuto e gentile,abbastanza alto,robusto,ma senza alcun segno di quella flaccidità che spesso attribuiamo ad un'età avanzata.Al contrario,notai che aveva un aire sportivo,mi sembrò di capire che era addirittura arrivato in ufficio in motocicletta,a giudicare dalle guance arrossate e dai grandi guanti imbottiti.Tuttavia la caratteristica più inconsueta era nella sua capigliatura.Aveva i capelli candidi come la neve e pettinati elegantemente,un esempio molto raro in un Paese come la Cina,dove uomini e donne si tingono i capelli di nero corvino sin da giovane età.
Il professor Zhang era il Capo del Dipartimento di Radio-elettronica all'Università Normale di Pechino,però aveva un'ammirazione straordinaria per la cultura italiana,il coraggio e la visione dei grandi viaggiatori italiani del passato,tra cui ovviamente Matteo Ricci e Cristoforo Colombo.
Questa altra particolarità mi colpì perchè a quel tempo l'unico italiano di cui i cinesi potevano parlare era Marco Polo.
Quella mattina cominciammo una discussione e uno scambio culturale che durò per molti anni.Il professor Zhang era lo specchio di tutto quello che credo debba essere“l'orgoglio nazionale”.Per esempio aveva la“curiosità”,che Gian Battista Vico,il filosofo italiano del 1600,aveva chiamato la“maestra della storia”.Certamente senza curiosità di nuove scoperte e senza rispetto per le cose nuove nè Marco Polo nè Matteo Ricci avrebbero lasciato una traccia così profonda e indelebile dei loro passi in Cina.
Il Professor Zhang,alla vigilia della pensione,mi menzionò uno degli obiettivi della sua vita:mostrare al popolo cinese i grandi esempi degli occidentali,e specialmente degli italiani,che avevano costruito un ponte culturale con la Cina.
Mi spiegò che questa era stata la missione di suo padre,un importante intellettuale della fine della dinastia Qing.Mi guardò dritto negli occhi e mi disse:“ma il capolavoro di mio padre è purtroppo andato perduto”.Era la traduzione in cinese del“Khataynameh”di Ali Akbar Khytay,un persiano che era l'“alter ego”di Marco Polo.Come il prezioso manoscritto in lingua cinese fu ritrovato grazie agli italiani,è contenuto nel capitolo che segue.Come omaggio lo lascio alla penna del Professor Zhang in persona,che volle testimoniare tutto questo in un breve articolo che mi donò una diecina di anni fa(fig.6).
L'amicizia tra il popolo italiano e quello cinese
Prof.Zhang Zhishan